Antonio Riccardi, Poesie da Tormenti della cattività, Garzanti, 2018, pp. 156, € 18 – con una Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa
Saul Steinberg 1961-1962

 

Antonio Riccardi è nato a Parma nel 1962 e vive a Milano, a Sesto San Giovanni, è direttore editoriale della SEM. Ha raccolto il suo lavoro poetico nel volume Il profitto domestico (Mondadori, 1996), al quale sono seguiti, un secondo libro di versi, Gli impianti del dovere e della guerra (Garzanti, 2004) e un terzo, Tormenti della cattività (Garzanti, 2018). Collabora a diverse riviste e giornali e fa parte del comitato di redazione di “Nuovi Argomenti” e di “Letture”. Ha curato il volume di saggi Per la poesia tra Novecento e nuovo Millennio (San Paolo) e le edizioni, negli Oscar Mondadori, del Candelaio e della Cenere delle ceneri di Giordano Bruno.

 

Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

 

Penso che la poesia di Antonio Riccardi, dal libro di esordio, Il profitto domestico (1996) fino a quest’ultimo, sia una ricerca al fondo di quella cosa che io amo chiamare la «metafora silenziosa», una ricerca che perlustra il fondale di quel mare interiore che comunemente chiamiamo «memoria». Che cos’è la «memoria»? Possiamo dire che è quella sorta di «spazializzazione» (spazio interno della mente) che è un connotato più primitivo della coscienza, lo spazio dove avvengono i paraferendi di tutte le metafore, lo spazio mentale che l’uomo adotta come suo proprio habitat, perché sia chiaro che l’uomo abita il proprio habitat mentale nel quale è ricompresa la coscienza e, in particolare, la coscienza linguistica e, perché no, anche l’inconscio linguistico e l’inconscio pre-linguistico… La poesia di livello abita sempre entro la cornice di questa sorta di «spazio mentale» dove il linguaggio acquista una particolare «risonanza interiore», non mi riferisco qui soltanto alla risonanza semantica in quanto questa è una particolare forma, quella linguistica, in cui si dà il fenomeno della risonanza, qui parlo di «risonanza interiore», che è un’altra cosa.

 

La «risonanza interiore» che intendo può aver luogo soltanto in uno «spazio mentale» abitato dalla memoria, che non è soltanto lo spazio linguistico tipico della coscienza quanto uno «spazio-non-spazio», «un interno-che-non-è-interno», un «interno che non è in nessun luogo». La ricerca del poeta parmense ha il suo luogo di elezione a «Cattabiano», e precisamente tra le pareti del podere dei suoi nonni e genitori, è lì che ha luogo la ricerca della memoria familiare della sua poesia.

In questi ultimi anni, anche sollecitato dalle discussioni che avvengono su queste colonne, penso sempre più profondamente che la poesia abiti questo «spazio mentale», questo «spazio interno», quello è il suo habitat naturale. E così il discorso poetico si pone a cavallo tra lo spazio mentale interno e quello esterno, tra ciò che era una volta il pensiero prima del linguaggio e il pensiero del linguaggio…

Giorgio Linguaglossa
Saul Steinberg, Masquerada, 1959

 

In realtà, noi parlando e ascoltando non facciamo altro che «inventare» uno spazio mentale dentro la nostra mente e nella mente dei nostri interlocutori, noi costruiamo sempre, in continuazione, il nostro e altrui spazio mentale, è una attività di tutti i giorni, che ci riguarda tutti, è un pensiero, questo, intuitivo che, se ci pensiamo un attimo, non possiamo metterlo in dubbio…

La poesia è la ri-costruzione di questo «spazio mentale», frutto della memoria e del mondo quadri dimensionale nel quale siamo immersi fin dalla nascita. La poesia lavora filogeneticamente per l’ampliamento di questo «spazio mentale», quindi è utilissima, anzi, è una attività indispensabile per la sopravvivenza dell’homo sapiens.

 

indice, invece…
cattività e cedevolezza
la seconda non meno della prima
aspra, tormentosa.

 

Uno, un matrimonio in due quadri
dovendo per virtù e desiderando
la felicità secondo principio.

 

Due, tre fagiani, le rane e uno stormo di corvi
per la proprietà transitiva delle bestie
a memoria del podere di Cattabiano.

 

Tre, per dire il retablo degli amori
se tra le nicchie una sola diavolina
dà fuoco al teatro dei ricordi.

 

Quattro, al lavoro o in guerra sempre
una dell’altro filigrana e veleno
ancora per virtù purificando a morte.

 

Cinque, con l’esercizio della fine
sul piano del cenotafio se il nome
è un racconto in miniatura.

 

E infine, l’enigma dietro il deposto
tra la folla disperata del compianto
perché rosso amasse tanto
un semplice primate.

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

 

L’oblio della memoria

 

Il recupero della memoria di cui la poesia di questi ultimi anni è protagonista indiscussa, ha radici senz’altro in una crisi di sistema della nostra recente storia nazionale; ho già parlato dell’oblio della memoria che data dal 1972, anno di pubblicazione della poesia Lettera a Telemaco di Iosif Brodskij; in particolare, la crisi del sistema Italia di cui assistiamo alla recita sul palco della politica in questi ultimi anni, una narrativa per certi aspetti comico-drammatica, tutto ciò, penso, ha avuto delle conseguenze anche nel mondo della poesia. I recentissimi libri di Letizia Leone, Viola norimberga (2018), di Mario Gabriele, In viaggio con Godot (2017), Donatella Costantina Giancaspero, Ma da un presagio d’ali(2015) e il mio Il tedio di Dio (2018), sono alcuni tra i tanti esempi di un pensiero poetante che segna un ritorno alla ri-costruzione problematica della memoria, di una identità personale e collettiva. Questo è un compito che la poesia non può delegare ad altre forme d’arte e che deve far proprio.

 

L’atto poetico da cui prende le mosse la poesia di Antonio Riccardi è un atto che pone esso stesso i limiti entro i quali dovrà accadere la narratizzazione dell’io analogale, nient’altro che un “Disturbo nello speculare”, come recita il sotto titolo della prima sezione del libro. Ma l’io analogale è nient’altro che l’io della memoria che ripercorre l’itinerario analogico colto in alcuni istanti strategici.

 

Considera cosa vedi e cosa vorresti
misurarne la distanza
sulla tua carta millimetrata:
il minor danno, il beneficio certo
le solite cose temperate

 

La visualizzazione fa parte integrante dello «speculare»: l’io vede se stesso muoversi in una «distanza» su una «carta millimetrata»; è esattamente questa la costruzione di un «io analogale» che il secondo «io» vede muoversi in uno spazio mentale. La coscienza dell’io poetico non è un deposito, un magazzino, una cosa o una funzione di qualcosa d’altro, ma è uno «spazio» analogale interno alla mente, una superficie «speculare» che possiamo ragguagliare alla funzione dello specchio che riflette il reale ma che soltanto mediante l’atto di narrativizzazione dell’io poetico può prendere forma e presenza. Tutto ciò che c’è nello specchio è un nulla, lo specchio riflette il nulla.

 

Questa consapevolezza muove la poesia di Riccardi, il che è qualcosa di diverso dal realismo poetico che si è fatto nel novecento. Ecco che nello «speculare» si situa un «disturbo», qualcosa accade ma come per analogia a qualcos’altro che sta in un altro luogo, in un’altra dimensione; la dizione poetica opera attraverso la ri-costruzione di uno spazio analogale, «speculare», cioè capovolto, nel quale opera e agisce un «io» analogale che è in grado di osservare se stesso e lo spazio e il tempo, analogamente a quanto accade all’io che si muove nelle quattro dimensioni, ciò che consente all’io «speculare» di prendere le misure dell’io reale e di muoversi in contiguità ad esso.

 

Ovviamente, si tratta di un qualcosa di analogale. Nella poesia più evoluta che si fa in occidente, c’è un io analogale che agisce in luogo dell’io posizionato nel mondo e quest’io opera mediante la narrativizzazione, cioè un raccontare che riproduce le azioni dell’io nel mondo reale. La poesia costituisce l’interno di una cornice analogale dove viene agita la narrativizzazione. La poesia e il romanzo sono le forme d’arte che più hanno contribuito a questa opera di narrativizzazione filogenetica della civiltà borghese degli ultimi due secoli, sono il luogo in cui si riproduce e si rinnova continuamente il racconto dell’io reale.

 

È questa, penso, la caratteristica della scrittura poetica di Antonio Riccardi, il suo è un neoverismo non mimetico del reale ma analogale del reale, prende l’abbrivio e si sviluppa da un presupposto: il tempo spazializzato e lo spazio temporalizzato nell’io analogale «speculare» che riacciuffa cose e spezzoni dalla memoria; il viaggio dell’io è il viaggio in un mondo che riproduce il mondo reale come il computer riproduce il mondo tridimensionale 

sul monitor bidimensionale.

La poesia di Riccardi «attualizza» lo spazio e il tempo proprio come noi attualizziamo l’immagine tridimensionale vedendola sullo schermo di un pc; la narrativizzazione è incentrata per lo più sulla terza persona o sulla prima persona plurale, in modo impersonale… si tratta di un io analogale che costruisce e svolge la «sua» realtà.

 

Il sostrato metaforico del pensiero poetico di Riccardi espresso prevalentemente nella terza persona o nella prima plurale, richiede nel lettore un atto di intellezione molto complesso; la poesia seleziona necessariamente alcuni particolari, alcuni frammenti della cineteca mnemonica perché il reale nel suo vero significato ci sfugge continuamente. La poesia è già metafora del reale e non ha bisogno di alcuna altra forma di metaforizzazione del reale, sembra suggerirci Riccardi, può procedere tranquillamente alla narrativizzazione di tutto ciò che è accaduto e accade alla luce del riflettore della memoria dell’io.


Il corpo, o meglio, le singole parti del corpo svolgono un ruolo centrale nella messa in azione della memoria, ad esempio, centrale è il ruolo della «mano nel discorso»; infatti, il titolo della seconda sezione recita: “Lo strano e notevole ruolo della mano nel discorso”.

 

da Tormenti della cattività
Primo tormento – Scene da un matrimonio

 

Considera chi siamo e cosa no.
Cosa non più, diresti tu
correggendomi sottovoce
e cosa volevamo diventare.
Speculari, pronosticavi.

 

Adesso però considera lo strano
e notevole ruolo della mano
nel discorso. Sei sempre e solo tu
a mimare cronofasi e ferite
nella nostra cronologia.

 

*

 

In un giorno di luce equatoriale
nel cimitero di Cattabiano
ho visto tre giovani fagiani
cercare tra le tombe.

 

erano giorno e mese della morte
di mio padre Pier Giovanni
la stessa luce e il caldo di allora
ma in un’altra vita, con più fatica

 

e già nel più futuro.

 

Il libro è la mappa di una ricerca quasi scientifica condotta con un linguaggio dichiarativo da «naturalista». Esemplare nella sezione il “Secondo tormento”, una sotto sezione, titolata “Le rane”, si legge: «Osservazioni di un naturalista sulla classe degli animali anfibi nel podere della famiglia R.». Se vogliamo, il ritorno alla poesia-racconto di cui ci sono in giro numerose testimonianze, segna l’approssimarsi di una crisi sempre più acuta della società italiana; il bisogno di raccontare e raccontarsi è qualcosa di molto diverso dal bisogno del racconto dell’estroversione dell’io della poesia del minimalismo dagli anni settanta ai giorni nostri.

 

Con Andrea Emo non si può non riconoscere che solo il «passato… è l’unica sede dell’assoluto… (ché) il passato e la memoria sono il regno di Dio… e (solo) nel passato si manifesta l’assoluto che siamo».1

L’unico assoluto di cui possiamo disporre è la memoria, in essa viene ad evidenza la struttura aporetica della verità originaria, essendo essa verità il suo stesso auto negarsi nel positivo significare di ogni determinazione.

Però, però c’è la forma del pensiero poetante: il pensiero mitopoietico, la narrativizzazione della memoria. 

In questa «forma di pensiero poetante» noi possiamo stare, contemporaneamente, qui e là, nel tempo e fuori del tempo, nello spazio e fuori dello spazio. Il nocciolo della «nuova ontologia estetica» è questo, penso, in consonanza con il pensiero espresso dalla filosofia recente, da Vincenzo Vitiello nelle due domande postate in una intervista riproposta qualche tempo fa. Con Massimo Donà ripetiamo che la «libertà» mette a soqquadro il Logos, la «libertà» infrange la «necessità» (Ananke).

Allora, sarà chiaro quanto andiamo dicendo e facendo: che la poesia deve ritornare ad essere MITO; si badi non racconto mitopoietico o applicazione e uso strumentale della mitologia, ma «mito», cioè narrativizzazione di momenti esemplari dell’esistenza, racconto delle esperienze che significano. Innalzare a «mito» il racconto del «reale», un po’ quello che ha fatto Kafka nei suoi romanzi e racconti, quello che ha fatto Mandel’štam nelle sue poesie della maturità, quello che fa la poesia svedese di oggi, ad esempio, tre nomi per tutti: Werner Aspenström, Tomas Traströmer, Kjell Espmark, o nella poesia dei poeti cechi Michal Ajvaz e Petr Kral.

 

1 A. Emo, Quaderni di metafisica, Bompiani, 1972 Q. 348

 

Giorgio Linguaglossa Giorgio Linguaglossa

 

Istruiva i bambini di casa

alla legge del regno intermedio

tra le piante e gli animali.

neutro tra due, pensava.

 

La prova è nel podere, diceva

nella forma di certe foglie

nella vita opaca degli uomini

e delle loro bestie migliori.

 

*

 

Quanto a noi, Monetina

anche noi siamo nel regno

neutro, a metà strada, anfibi

 

e tu, per la mia consolazione

mi dici che ogni eroe è anfibio

in debolezza o sfinimento

 

e che ognuno si abitua presto

ai pericoli o all'intimità.

 

Nessun eroe, mi consoli

si salva scegliendo il paradiso.

 

Ed ecco la prima poesia della terza sezione.

 

 

Abbraccio o caccia?

 

La figura inscritta nel loro abbraccio

non è la stessa a vederla dai due lati

 

ma nella parte dolce del loro mondo

loro siamo io e te, sottovento

 

se all'amore da una ferma falsa

torniamo alla ferma come i cani.

 

Araldica diva

 

All'ombra della diva bianchissima

ridotta a ciclope e incatenata

come una di una stirpe felice

nel golfo di Palm Canyon Drive

 

lei che ormai non si cura

del calcio e dei turisti senza decoro,

la gonna contesa tra vento e mani,

il perfetto dècolleté a otto metri da terra

e il corpo che flette nel futuro

scintillando sul blu di smalto

 

ho ricordato una tua fantasia

ancipite, fatata

e poi una dopo l'altra incatenate

le fragili cose da sapere di te.

 

...

 

      ecco,

per esempio e non per poca vita

 

il tuo sognare un futuro nascosto

nelle figure a base numerale due

per dirne una tra le altre, invisibile

o la paura di una verità araldica

- figura muliebre al tuffo in campo blu

e rosso il capo - che suona  indovina:

 

any girl can be beautiful and new.

 

Monopolista

 

«C'è sempre il sole a Palm Springs»

hai detto telefonando dalle stelle

«non si scappa». non scappo, ho detto

     non scappo...

 

eppure lo sai che raccolgo medaglie

memorabilia, bottoni, conchiglie

e altre cianfrusaglie luccicanti.

 

Monopolista, avrebbe detto Miss Moore.

Per quel poco o tanto di ardore

dico io, invece. Ma tu, tu cosa dici?

 

...

 

Mi dici che le ragazze migliori

in fondo sono sempre complicate

inadatte ai monopolisti

 

e loro inadatti a custodire

- come te, sento che pensi -

la felicità di una ragazza.

 

 

Time & Life

 

Ti aspettavi di vivere in un'altra vita?

Come se l'abitudine non fosse stare

se non tra i debiti e le gemme...

 

non fosse così o se con me tu fossi

           davvero cattiva

non avresti detto, compatendomi

«non sei fatto per le cose leggere».

 

*

 

Dal "Quarto tormento"

 

Come se la morte per noi non fosse.

Né per loro o per le loro cose, come

se il tempo medio di specie

fosse per tutti quello vegetale.

 

Passati già passati tornano al presente

ancora in tinello come allora.

Le tovagliette sul tavolo Dinette

le lampade a bolla accese per la sera.

 

A guardarli da fuori, domestici

li vedi staccati dal fondo della scena

come nel binocolo view-master.

 

 

1930

 

Alla prima foliazione del podere

dopo la morte invernale di Antonio

Riccardi, solo la siepe di bosso

 

alla fine del giardino, confine

sul dirupo tra casa e coltivo,

era rimasta forte e splendente.

 

da "Ultimo tormento"

ex voto. Visione all'alba del padre che vede il padre con i suoi in posa per la foto di famiglia nel 1905

 

Oscuramente so

che il posto dove sei sepolto

è il posto dove sei sospeso

 

morto tra i vivi, me compreso,

e i morti della nostra stirpe

che prima di noi sono giù morti.

 

*

 

Oscuramente so

che il posto dove sei adesso

è qui, nella mia camera da letto

 

a picco sul Prato di sotto

e sulla valle dove i nostri morti

erano vivi prima di noi

 

*

 

Oscuramente qui

in poltrona sul fondo della stanza

siedi come sedevi da vivo

 

quando non c'era dove andare

né altro che aspettare da lei

il segnale stabilito per la cena.

 

*

 

Ora oscuramente

sento che il tuo corpo non è solo

quello che tra i vivi dicevi corpo

 

ma come tra i morti si dice stare

sospeso tra infimus e futurus,

qui nella camera dove sei morto.

 

*

 

Ora oscuramente

mi parli dall'ombra della poltrona

le mani in mano, le braccia sui braccioli

 

hai la voce trasparente

di quando mi sorvegliavi

nei morsi delle convulsioni.