Giorgio Linguaglossa, Ponzio Pilato Milano, Mimesis, pp. 150 € 12

 

Giorgio Linguaglossa è uno dei pochi intellettuali militanti che oggi sappiano affrontare le problematiche scottanti del nostro tempo, ovviamente non disgiunte da indicazioni storiche che arrivano da lontano e illuminano le situazioni odierne. La sua attività si esplica in varie direzioni, nella poesia, con all'attivo tre libri, nella narrativa, con un'opera che fece clamore nel 2005, e nella saggistica, in cui tutta la sua visione della letteratura prende corpo e si dispiega in argomentazioni particolareggiate che partendo sempre dai testi sfociano in teorizzazioni a volte perfino azzardate, ma che sanno innescare polemiche non astratte e puntualizzazioni e verifiche necessarie.

Adesso esce con un romanzo molto particolare che affronta una figura sempre discussa della storia del Cristianesimo e non ha nessun timore riverenziale, nonostante che autori del calibro di Anatole France, di Lagerkvist, di Bulgakov, di Caillois, di Mauriac, di Renard, di Diego Fabbri - per citare soltanto i più notevoli- di affrontare la psicologia di questo Procuratore della Giudea tanto discusso, ma quasi sempre non tenendo conto delle leggi vigenti della sua epoca, delle ragioni politiche del suo tempo.

Nessuno si è mai soffermato sulle diversità di mentalità, di concezioni spirituali e politiche esistenti, soprattutto negli anni in cui visse Cristo, tra Oriente ed Occidente. Il romanzo di Giorgio Linguaglossa si muove intorno alla idea della ricostruzione del punto di vista di Ponzio Pilato, e cioè dell'Occidente dinanzi ad un evento che ha cambiare la storia dell'occidente. Nel prologo, nei trenta capitoli e un epilogo, la difficoltà operativa di Ponzio Pilato si fa evidente. Scrive Giorgio Linguaglossa: «Pilato... Considera l'incarico di Governatore della Giudea sì come una iattura ma anche come una missione: romanizzare l'oriente», impresa davvero problematica e irresolubile se consideriamo la cosa con il senno di poi a duemila anni di distanza.

Fin qui la storia. Fino a quando a Gerusalemme non arriva Jehoshua con le sue idee di uguaglianza, con la sua sfida al potere costituito,  con i suoi miracoli e con quella che viene considerata la sua «stoltezza». Il problema si fa pesante già all'annuncio di questo personaggio scomodo, e così cominciano le questioni delle competenze, anche se «Roma è la ragione universale», come detta il capitolo X del volume.

Ma la confusione prende il sopravvento  e dopo la crocefissione nascono i dubbi: «No, non dovevamo uccidere l'uomo di Nazareth. In fin dei conti, era innocuo: un sognatore utopista». 

Molto bello e accuratamente fondato dal punto di vista psicologico il capitolo XXII, che sembra raccogliere i vari spunti sulla personalità di Ponzio per un ritratto a tutto tondo. L'impresa di Pilato diventa  una fatica improba, perché la posizione in cui viene a trovarsi è ambigua, sfuggente, vischiosa,.

Non è casuale che l'Epilogo, che è in definitiva il "Commento di un romano a futura memoria" sia decisamente duro. Il centurione Longino, quello «che ha fatto crocifiggere Jehoshua», che ha fatto «un buon lavoro, senza procurare disordini», che ha «operato con rigore ed onore. E Roma rende omaggio al suo centurione», anche se «sarebbe stato meglio fare tabula rasa e crocifiggerli tutti, quei prezzolati lestofanti. Sul monte cranio, a futura memoria. E spargere sale su Gerusalemme e su tutta la Giudea...».

Dove sta la novità di questo Ponzio Pilato rispetto ai tanti altri di autori di varia estrazione spirituale e religiosa? Nell'esame accurato che Linguaglossa fa del carattere del personaggio che si dibatte tra due mondi diversi e incomunicabili, l'Oriente e l'Occidente; ma anche nella puntualizzazione dei comportamenti che vengono attuati attorno a lui. Linguaglossa è attento, abile ed oculato nel saper rappresentare un mondo così lontano con esplicazioni di carattere storico al punto che la scrittura s'impenna, a volte, su annotazioni saggistiche, a volte su annotazioni partcolareggiate fluidamente narrative. Una scrittura elegante un italiano che ha un lontano sapore latino. 

La ricostruzione del personaggio di Ponzio Pilato è calibrata intorno alle notizie storiche tramandateci da Giuseppe Flavio nella sua Guerra giudaica. Vengono illuminati i rapporti politici con il Sinedrio, il segreto disprezzo per i giudei considerato un popolo riottoso alle ragioni della pax romana, ingovernabile e facinoroso; i rapporti con la moglie di Pilato, Claudia Procla, il processo a Gesù e la strage del monte Garizim che costò l'incarico al governatore della Giudea.

Il personaggio di Ponzio Pilato appare in tutta la sua grandezza di romano con le sue emozioni, i timori e le preoccupazioni per i risvolti politici della vicenda dell'oscuro predicatore. Una narrazione suggestiva e ricca di dettagli significativi, come la descrizione dei retroscena dei rapporti con i servizi segreti dei romani e dei rapporti con l'animo femminile di Claudia Procla. Abbiamo qui la conferma di uno scrittore che sa districarsi nel ginepraio di una vicenda così lontana nel tempo ma sempre attuale, a distanza di duemila anni da quegli avvenimenti. 

 

 

Marco Onofrio